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JÓZEF MEHOFFER (1869-1946) – un’artista polacco “senza pari”

AUTORITRATTO                                                        GIARDINO

Nell’anno 1910, William Ritter – un famoso critico d’arte e giornalista svizzero – ha pubblicato sulla rivista italiana “EMPORIUM” un articolo di ventuno pagine (sic!) dedicato interamente a Józef Mehoffer – un artista polacco “senza pari”! Secondo Ritter, quello “ch’è il Klimt per l’Austria, è diventato lui [Mehoffer] per la triplice Polonia, russa, austriaca e prussiana, e ciò quasi fin dal suo primo apparire”…e così via… Tutto l’articolo è un vero inno di Ritter al Mehoffer. Perché non dovremmo ricordarlo? Nonostante siano passati quasi 110 anni dalla pubblicazione, il suo messaggio è sempre attuale!

L’articolo originale con le foto in bianco e nero è consultabile sul sito http://www.artivisive.sns.it. Nella mia presentazione ho inserito, dov’era possibile, le illustrazioni a colori dal sito www.pinakoteka.zascianek.pl.

Buona lettura!

Agata Rola-Bruni

EMPORIUM (Gennaio 1910 vol. XXXI nr 181)

ARTISTI CONTEMPORANEI: JOZEF MEHOFFER

EMPORIUM – COPERTINA NR 181              CARTONE PER VETRATA «VITA SOMNIUM BREVE»

Ricordate come un grande scrittore francese di nazionalità polacca – lui stesso esempio perfetto della genialità della sua razza – descriva quelli statisti e quei guerrieri della Polonia e della Piccola Russia che ingombrarono i gradini del trono di Caterina II? Nel tentare di caratterizzare l’opera del Mehoffer e di presentarlo come uno dei rappresentanti più completi della Polonia contemporanea, sarà buona cosa richiamare alcune linee di quel ritratto, per applicarle non alla persona reale dell’artista – lavoratore coscienzioso ed ostinato, semplice, franco, probo e tutto il contrario degli avventurieri di K. Waliszewski – ma alla sua persona come ce la figuriamo seguendo le sue opere.

GRAFFITO PER LA CATTEDRALE DI CRACOVIA

Udite dunque.

«Caratteri ad un tempo frusti e singolarmente complicati, con uno strano miscuglio di selvatichezza e d’estremo raffinamento, conseguenza d’una sovrapposizione particolare di razze e d’influenze diverse; cultura occidentale, innestata qua e là sui virus asiatico;… indolenza voluttuosa con bruschi scatti d’energia furiosa ed esorbitante;… disprezzo orientale d’ogni forma e d’ogni regola;… nessuna cura del tempo;… spirito sottile e fine, ma insieme ingannevolmente ingenuo;…curiosità di tutte le forme del piacere, esuberanza di temperamento e fertilità d’immaginazione nel ricercare i godimenti saporiti;… finalmente, una flessibilità che sa piegarsi con agilità mai smentite a tutti i mutamenti di stato, di fortuna e d’occupazione, e che serve a tutti gli impieghi» ecc. (K. Waliszewski “Autour d’un trône” Paris, Plon Nourrit, 1909)

FREGIO PER IL PARLAMENTO DI VIENNA

Ed ora i ritocchi necessari:

Flessibilità che sa piegarsi con agilità mai smentita a tutti i mutamenti di tecnica e di procedimenti, a che serve a tutte le forme d’arte. Esuberanza di temperamento e fertilità d’immaginazione nel ricercare i più estremi godimenti artistici, intensamente ma anche delicatamente drogati: disprezzo orientale d’ogni forma e d’ogni regola accademica, e finalmente, carattere singolarmente complicato, certo, ma tutto l’opposto di frusto. Invece, è molto colto, avendo molto letto, veduto, studiato, viaggiato, osservato. Il Mehoffer è contemporaneamente il tipo perfetto del letterato occidentale in Polonia e quello del più puro slavo, per gusti, per immaginazione, per forme di spirito. L’uomo più onesto ch’io abbia incontrato; sposo esemplare d’una donna assolutamente superiore, ch’è la sua grande ispiratrice; padre adorato, patriota ardente, lavoratore energico, egli è quanto può essere di più elevato un esemplare perfetto del più nobile tipo umano, in qualunque paese. E detto questo, ritenete pure delle linee del Waliszewski tutto quanto non abbiamo coretto.

***

La grande forza del Mehoffer sta, oltreché nel suo temperamento slavo, tutto fuoco, fiamma e nervi, nell’aver assorbito completamente l’arte occidentale, senza esser stato turbato un momento solo nella sua volontà di rimanere polacco. Egli intese sempre di proporre alle razze slave, in tutti i campi, modelli d’un’arte tutta sua, ma nello stesso tempo atta ad incanalare l’espressione di sentimenti e di concetti universali. Così egli potè compiere il miracolo d’essere artista del suo paese e del suo tempo, pur restando intelligibile all’intera umanità; trasse tutto dal suo interno, riconfortandosi semplicemente all’esempio dei grandi stranieri, andando alla scuola del loro valore e non delle loro opere, proponendosi di fare come, non ciò ch’essi avevano fatto. È la fenice che rinasce continuamente dalle proprie ceneri: ad ogni nuova impresa, egli si consuma completamente, ed ogni volta rinnovella completamente il suo essere e la sua sostanza d’artista.

FREGIO PER IL PARLAMENTO DI VIENNA
FREGIO PER IL PARLAMENTO DI VIENNA

L’attività di Mehoffer è senza pari: quello ch’è l’Erler per la Germania ed il Klimt per l’Austria, è diventato lui per la triplice Polonia, russa, austriaca e prussiana, e ciò quasi fin dal suo primo apparire, quando tornò da Parigi col defunto Wyspianski, anche lui carattere geniale di poeta e d’artista, che gli trasmise in eredità tutto un lato dell’arte sua: il lato nervoso, complicato, felino, malaticcio; mentre d’altra parte di Mehoffer ereditava molto della sanità e dell’esuberanza coloristica di quel grande veneziano di Cracovia che fu Jan Matejko: Jan Matejko, il Paolo Veronese di Polonia.

Il Matejko, il Wyspianski ed il Mehoffer – ebbi a dirlo già altra volta – ci presentano da soli i tre lati della questione polacca: il primo, la gloria del passato; il secondo, il martirio, il sangue donde nascono i fiori, le ferite purificatrici; il terzo, la risurrezione, il risveglio, la rinascita: la risurrezione della gloria antica, il risveglio delle facoltà vitali e di tutte le speranze, la rinascita ad una nuova luce, ed un colorito nuovo, e forme nuove. Mentre egli ritraggono il paese, i suoi abitanti, la sua vita, essi questo paese l’adornano nei suoi edifizi e nei suoi interni, gli fanno una veste di grandi tele decorative e d’affreschi, e v’aggiungono le trine nere del graffito e lo splendore gemmato delle loro vetrate a colori.

O, quelle impareggiabili vetrate del Mehoffer, che hanno un riscontro solo nelle concezioni  più violente del Brangwyn, nelle creazioni più squisite e più iridescenti di Tiffany! Nulla m’ha dato mai sì viva immagine del salire del succhio creatore, come il vedere il Mehoffer comporre un cartone per vetrate. Ma che comporre; è una creazione continua, come se in poche ore e in pochi metri di carta da spolvero fosse ridotto quanto tempo e spazio occorre alla natura per far crescere una foresta equatoriale: non conosco nulla di simile, tolto in modo come il Mahler scrive le sue sinfonie, rapito dal demone dell’ispirazione, quasi senz’avere il tempo materiale di scriverle. Le liane dei fregi e le figure necessarie pullulano nello stesso tempo, come d’un solo getto, senza combinazioni, né sforzi, né calcoli faticosi. È il genio ornamentale slavo che riprende i suoi diritti e si slancia senza freno nel regno della fantasia, ed è insieme la prodigalità dell’immaginazione orientale che si dona. E tutto v’è imprevisto, ma nulla è sbagliato; tutto trova il suo equilibrio, come nella foresta ogni albero si fa il suo posto senza che altra legge regoli l’insieme, se non quella di salire, comunque sia, verso lo splendore, come tutti i succhi vegetali salgono al fiore per espandersi alla luce. E in tutto questo lussureggiare di vegetazione nascono angeli ed arcangeli, santi e sante, carnefici e martiri, come la fauna indiana nella giungla.

VETRATE [PER LA CATTEDRALE DI S. NICOLA A FRIBURGO]
Mi ricordo che vent’anni fa, quando mi posi a studiare il rinnovamento dell’arte decorativa avvenuto in Inghilterra sotto l’influenza dei preraffaelliti e del Ruskin, poi in Francia, ancor più dogmatico e preciso, nella scuola del Grasset, quel continuo sistema di combinazioni e di permutazioni, insegnato sui libri quali La Plante o L’animal ornemental, con tutto il suo bell’ordine sodisfaceva molto poco il mio gusto logicamente speculativo. Ma vi pare? col pretesto dell’ornato, scomporre le piante nei loro elementi e ricostruirle stilizzate; metter a inventario i prati e gli orti botanici; catalogare i moti e gli atteggiamenti degli animali; tenere così una specie d’ambiziosi registri di dare e avere: tanto da copiare ciò che fa la natura, tanto per confonderlo e rifarlo… e questo sarebbe procedere come la natura? Questo vuol dire creare un’ornamentazione nata morta, vuol dire l’ornato oggetto, l’ornato natura morta, l’ornato in tutto il suo orrore materiale, in luogo dell’ornato ch’è vita e movimento, impulso, efflorescenza e luminosità. Perché analizzare un fiore come un botanico e ricostruirlo come uno scienziato, quando un filo gettato a terra fa un ornamento, e la mano armata di penna o di matita, lanciata dalla fantasia su un foglio di carta, lo può creare almeno altrettanto facilmente, sembra, come crea un personaggio, un’azione, l’illustrazione d’un libro o lo schizzo d’un quadro? C’è della musica che non s’impara facendo tre ore di scale ogni giorno, e ce n’è di quella che s’impara cantando nei campi perché si soffre o perché s’è allegri. Il Wagner impiega soli sei mesi ad apprendere l’armonia ed il contrappunto, che altri, come Reger od un Brahms, devono studiare per tutta la vita; e il Berlioz inventa, o piuttosto improvvisa la sua strumentazione.

Il Mehoffer, nell’arte decorativa, o semplicemente in arte, appartiene alla razza dei geni spontanei e non a quella dei talenti lungamente e pazientemente coltivati.

In paese slavo, del resto, talenti o geni, son tutti così. L’altro giorno, alla scuola d’erti decorative di Praga, P. Verneuil si stupì non poco nel constatare che là nessuno copia o scompone un fiore, ma che tutti vi s’ispirano: lo guardano, poi fanno una cosa assolutamente diversa. Lo stupore di quel’abilissimo matematico dell’ornato diventa quasi comico davanti ad un’ornamentazione nata, più che dal fiore stesso, dall’imaginazione accarezzata dal fiore: con quella tacita disapprovazione, colla quale scotiamo la testa davanti al crollo di tutte le regole della nostra vita, egli si meraviglia di non poter trovare e nominare il fiore che ispirò un dato ornato. Dopo questo, io mi domando in forza di quale logica egli creda che la liberta stia di casa nell’insegnamento francese; parla della disciplina ch’infierisce in Boemia, e non s’accorge che invece di disciplina dovrebbe dire stile, poiché esiste un ornato czeco, nettamente distinto dall’ornato universale ed impersonale regnante dappertutto.

Quest’ornato czeco esce dall’anima e dall’imaginazione dello slavo come la canzone dalle sue labbra, provocata dal minimo avvenimento esteriore, ma anche dalla minima commozione interiore. Perché apprendere la rigorosa e gretta matematica ornamentale, strappando poveri fiorellini per esaminare gli organi sotto la lente, quando si sente fiorire dentro di sé la canzone asiatica dell’ornato vivente, e quando tutta la vita intorno a voi si presenta all’attività particolare della vostra imaginazione sotto un aspetto orientale? perché metterci dieci anni di scuola complicata e pedante ad imparare ciò che l’ultima contadina slovacca o rutena sa fin dalla nascita? Ci sono paesi, in cui tutti nascono liberi cantori come il Walter wagneriano, e ci sono altri, dove i maestri cantori, severi e pedanti, hanno sempre causa vinta contro i geni; tra quest’ultimi è stato sempre un po’ anche il paese dei Boileau, dei Voltaire, dei David, delle accademie e delle scuole di Belle Arti: soltanto, noi non ci rendiamo conto sufficiente del fatto, che i suoi geni più veri furono tutti e sempre tanti indipendenti, e talvolta anche dilettanti.

Il Mehoffer inventa fioroni senza l’aiuto di fiori, semplicemente circoscrivendo alcune felici macchie di colore; sarebbe capace d’inventare un’architettura partendo dai cappelli di sua moglie; inventa paesaggi che hanno questo di strano, d’esser sempre più slavi, che se li copiasse dal vero; inventa un simbolismo tutto suo proprio, che vale almeno quello di tant’altri; crea allegorie religiose della più grande profondità teologica, semplicemente ascoltando la voce del suo cuore; sa disporre i bambini e le bambine del suo villaggio – dei quali del resto sa fare anche ritratti pastosissimi – a modo d’angeli, così come gli scolari di Praga che fecero stupire il Verneuil inventano un fiore fantastico guardando un tarassaco.

Se si tratta di decorare una chiesa armena come a Leopoli, credete ch’egli faccia lunghe ricerche sull’arte armena? Neanche per sogno: guarda un antico evangeliario od un altro libro liturgico, e subito, dagli ornati che inquadrano quelle pagine, dalle scene che le illustrano sorge nella sua testa tutt’una decorazione a fresco per la navata, la quale decorazione sta alle miniature esaminate come l’ornato czeco citato or ora stava al fiore del Verneuil. Se si tratta invece di volte gotiche, come nella cappella del tesoro al Wawel – veneranda residenza e luogo d’incoronazione dei re di Polonia -, egli non si dà pensiero dello stile gotico più che non abbiano fatto i decoratori che prima di lui vi fecero trionfare il barocco. Sotto i costoloni gotici come sotto le cupole orientali, egli fa dell’arte slava, o piuttosto dell’arte mehofferiana.

Ciò che più di tutto distingue la sua arte, è forse l’esuberanza cattolica del suo slavismo. Del resto, i polacchi, di fronte ai russi, sono tanti meridionali; nell’ambito della razza slava rappresenterebbero ciò che sono gl’italiani in rapporto ai francesi; hanno un po’ della vostra esuberanza e molto della vostra passione; l’abbondanza delle chiese secentesche sviluppò in essi quel gusto in nato pel fasto, ch’è comune a loro come a tutti gli orientali; ed una delle più sorprendenti originalità del Mehoffer è l’applicazione del suo slavismo a modificazioni fondamentali dell’armonia dei colori qual esiste presso di noi fin dai secoli classici. SEGUE A PAGINA 2

100-lecie wznowienia relacji dyplomatycznych między Rzeczpospolitą Polską a Stolicą Apostolską

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