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JÓZEF MEHOFFER (1869-1946) – un’artista polacco “senza pari”

DECORAZIONI NELLA CAPPELLA DEL TESORO DELLA CATTEDRALE DI CRACOVIA – L’ARCANGELO MICHELE, RAFFAELE ED UN PARTICOLARE DEL SOFITTO

Egli può rifarsi ai toni più chiassosi, agli accordi più dissonanti, che resta sempre distinto, educato, imperturbabilmente aristocratico; è distinto nei toni violenti e nelle armonie franche, come altri nelle sottili sfumature delle mezzetinte. Ed in ciò altresì egli ha dei punti di contatto col gusto italiano dell’epoca bella: tratta i rossi, gli azzurri ed i verdi d’Andrea del sarto, la porpora, l’oro ed il violetto della scuola veneta con un senso per lo splendore delle orchestrazioni vigorose, che va di pari passo colla magnificenza convulsiva delle linee.

Forse non s’è rilevato abbastanza, come parecchi tra i più grandi maestri del nostro tempo, il Rodin quanto il Mahler, il Mehoffer quanto il Bruckner, derivino direttamente dall’arte barocca. Il Rodin in certe sue opere fa pensare ad un Michelangelo bolognese; nel Mahler c’è un po’ dell’architettura di Praga; e i conventi della Bassa Austria, quei grandi palazzi ecclesiastici, insieme col paesaggio alpestre danubiano, hanno creato il Bruckner. Quanto al Mehoffer, non solo il suo slavismo conosce la Roma papale, ma la sua immaginazione ancora s’è formata tanto sotto le volte gesuitiche e davanti alle facciate rococò delle chiese e dei palazzi di Polonia, come nelle campagne tra la Vistola e il Dniepr. Gli stili hanno una vitalità più resistente che non si creda, e mentre uno, in un paese, sembra esser stato decapitato dalla rivoluzione, altrove mena vigorosi germogli che a lungo andare formano un albero nuovo sulla stessa radice. Osservando in Francia la lenta successione del Luigi Filippo, s’ha l’impressione d’assistere all’intisichire ed alla morte d’un bell’albero; ma ecco che un altro pollone attraversa la Germania, l’Austria e la Russia, sufficientemente vitale ancora per far isbocciare improvvisamente a Parigi quegli stranissimi fiori che sono alcuni quadri polacchi, una sinfonia austriaca e perfino, recentemente, un ballo russo col suo bravo corpo di ballo e la sua coreografia e lo scenario settecentesco, tutte cose delle quali altrove s’è perduta anche la tradizione. Del resto bisogna rilevare, che in Polonia come a Praga il barocco aveva già subìto un adattamento – molto visibile in certi edifizi – al gusto nazionale. Quando gli stili classici sono pressoché identici a se stessi in Italia, in Francia, nelle Fiandre ed in certe parti della Germania e dell’Austria, allora alle estremità dei loro domini, ai punti d’arrivo del loro percorso, cioè in Ispagna e nel Portogallo da una parte, in Sassonia, in Boemia, nella Polonia e nella Russia  dall’altra, restano stazionari più a lungo e subiscono meno il cambiamento della moda, avendo tutto il tempo d’impregnarsi di succhio nazionale. Così un artista come il Mehoffer può aver subìto nell’anima sua tutte quelle malattie infantili della moderna anima d’artista che si chiamano romanticismo, naturalismo, simbolismo, realismo, secessionismo e così via, ch’egli resterà ancora suscettibile d’esser animato da certi fermenti che in Polonia datano secoli di Luigi XV e di Maria Teresa. In una parola, egli resta soprattutto quel bizzarro amalgama di classicismo, di cattolicismo e di fantasia barocca ch’è assolutamente tipico in un polacco. In un artista di questo genere, lo slavismo persiste nel fondo, nel succhio vitale; il cattolicismo si manifesta nel piacere del fasto, della magnificenza, nella fede in una religione decorativa, mentre, per soprammercato, una fantasia convulsa ed esuberante si va emancipando in libertà moderna, ma sull’esempio dei grandi architetti del settecento, ancora troppo poco studiati fuori di Francia e d’Italia.

DECORAZIONE DELLA CATTEDRALE ARMENA DI LEOPOLI

Osservando il disegno nell’opere del Mehoffer – e lo stesso vale pel colorito – s’ha l’impressione che nulla sia stato appreso, che nulla in lui obbedisca ad una disciplina, che le sue audacie siano piuttosto inconscie, tanto che infrangere le regole o seguirle sia tutt’uno per lui. La sua imaginazione spazia a migliaia di metri sopra il suolo degli altri mortali, e di lassù la sua fantasia libera, il suo umorismo ornamentale non sanno più riconoscere né confini né compartimenti, né muraglie per classificare le forme, né dighe per incanalare le idee. Secondo il suo capriccio, una vetrata, per esempio, riuscirà o perfettamente misurata, o inestricabilmente esuberante: il dono della composizione spontanea, largito ad ogni slavo per grazia di Dio, come il dono della sceneggiatura e dell’invenzione ornamentale – questo dono che talvolta, come in certi miei amici czeki, si svia imitando volontariamente i tagli di un Whistler, per dirne una, o la disposizione incoerente di certi impressionisti – questo dono della composizione è tanto innato nel Mehoffer, che non solo egli non incontra la minima difficoltà nell’arte d’ordinare, di render chiaro, con certi richiami ad uso basso ostinato, il rimpiattarsi d’alcune grandi linee tra tutte le variazioni dei particolari, di districare, con mezzi tutti suoi, gli aggrovigliamenti più complicati; ma che il problema della composizione sembra addirittura non poter esistere per lui. L’ho già detto: comporre ed improvvisare, nell’arte decorativa, è per lui tutt’uno; come se si pone a dipingere gli è tutt’uno comporre o copiare il modello.

Poiché ne’ suoi quadri realistici il decoratore non perde mai i suoi diritti. In un orto soleggiato, sotto gli alberi carichi di mele mature, porrà il suo bambino nudo, mettendogli in mano tirsi di malvoni; accanto collocherà sua moglie, in abito da passeggio elegantissimo ed all’ultima moda; in fondo ci sarà la balia rutena, in costume nazionale. E questi elementi, che a prima vista e per qualunque altro artista sembrerebbero disparati, mossi da lui divengono immediatamente una festa incomparabile per gli occhi. Ma non basta ancora. Attraverso le rame getterà corone fiorite, e trammezzo, sopra tutta quella sinfonia di fiori, di carni e di stoffe – ricche stoffe dell’abito moderno e del costume nazionale – sospenderà un’enorme libellula tutta nero e oro, qualcosa come un cervo volante giapponese, ma che realmente è un ornato slavo.

RITRATTO DI SIGNORA                                                  RITRATTO DI MEDICO

Un’altra volta, il ritratto della moglie d’un collega, la signora Axentowicz, gli si presenta unicamente sotto forma d’un problema cromatico: far sentire la finezza aristocratica che a prima vista sembra incompatibile con un brutale accordo di colori qual è l’arancio ed il violetto. In un mio volume descrissi a lungo un altro ritratto: quello d’un prete dal viso ingrato, in una sacristia o cappella fiorentina, rivestita delle violacee tende quaresimali. Il quadro è concepito così unicamente per comporre un abilissimo mazzo d’armonie forti e rare. Però invece d’essere una cosa discreta, tutta penombre, e sfregacciolata in minore, come avrebbe fatto qualche altro grande armonista del genere del Whistler, è brutale, ma tirata via con islancio e con islancio nervoso, molto padrone di sé, tanto che pur pensando al genio dell’armonia whistleriana si pensa altrettanto al genio della bella pastosità e dell’ampia materialità plastica d’uno Zuolaga.

Ed accanto a questi accordi fermissimi e larghissimi dell’armonia consonante, in cui il tono risuona francamente in contrasto coi suoi complementari, ve n’ha di quelle che scherzano colle dissonanze più sottili, ma espresse non sottilmente, anzi molto apertamente. Un artista forte non elude la difficoltà, non scivola nel passarvi sopra, non sofistica intorno al varco scabroso. Egli la difficoltà l’attacca di fronte, ma anche qui senz’aver bisogno di precipitarsi sull’ostacolo facendo pompa della sua forza…

RITRATTO DELLA SIGNORA MEHOFFER, DI UNA CANTANTE E DELLA SIGNORA AXENTOWICZ

Ma esistono ancora difficoltà per lui? Quando un’abilità come la sua s’espone senza iattanza , colla semplicità con cui sboccia un fiore, chi osa ancora pronunciare la parola difficoltà? Credo d’aver già citato, parlando dell’ultima esposizione di Monaco, quel ritratto della signora Mehoffer in cappello e vestito di seta color pulce, con scarpe gialle e gialli i lembi della sottana, tutta a svolazzi e pieghe di seta iridescente; sotto la poltrona a sdraio in cui la signora è seduta, sale il pavimento bruno che va a raggiungere la parete bruna, mentre due piccoli aranci simmetrici coi loro frutti verdi e le guance incarnate del profilo fine costituiscono le due sole note che non modulino nei toni di bruno e di giallo. Più che un grande ritratto, è una vera composizione.

Per un decoratore come lui, sempre aggiogato ai suoi grandi lavori – e gliene commettono da  ogni parte, per chiese, camere di commercio, sedi di società artistiche, perfino pel Parlamento di Vienna e per la collegiata di S. Nicolò a Friburgo di Svizzera – il fatto materiale e brutale di dipingere, di dipingere realisticamente, senza pensare ad altro che a rendere ciò ch’egli ha sotto gli occhi, è naturalmente la ricreazione più piacevole; qualche cosa come le vacanze in campagna per chi sia sempre rinchiuso. Difatti, è proprio l’estate, il tempo della campagna – sia a Zakopane, ai piedi della Tatra, sia nella sua casa nei dintorni di Wieliczka – ch’egli dedica alla sua pittura.

Nel resto dell’anno, durante l’inverno, gli accade pure talvolta, presentandosi l’istante propizio, di dipingere, oltre ritratti, qualche angolo di via o piazza di Cracovia, veduto attraverso la sua finestra nei vari effetti di fango o di neve, di nebbia mattinale o crepuscolare. Non gli avviene mai di fare una corsa all’aperto senza riportarne qualche tavoletta, delle dimensioni di quelle del povero Stanislanski [Jan Stanisławski], colla sintesi d’un paesaggio pieno di grandezza, fatta in pochi di quei tocchi magnanimi, dei quali egli possiede il segreto.

Perché esiste un modo eroico di metter giù il colore, come esiste il modo vile ed il modo ipocrita. Con Jozef Mehoffer paesista o ritrattista, come con Jozef Mehoffer decoratore si tratta invece sempre d’epopea. Anche questo è un tratto assolutamente polacco: l’anima battagliera, cavalleresca e tumultuosa di questo popolo prende l’arte e la vita per un perpetuo torneo.

Se nell’opera oltremodo complessa del nostro artista si riscontra il contatto – insolentemente ricco di fortuna e di vita – tra lo slavismo e l’arte occidentale, tra una specie di barbara giovinezza ed il cattolicismo carico d’iconi e di reliquie, tra una tal quale ridondanza barocca ed un modernissimo slancio eroico, vi si potrebbe scoprire ancora la linea di saldatura tra l’arte popolare, quale può esistere ancora vivace in una nazione primitiva e leggendaria, e l’arte aristocratica dell’èlite artistica europea. Quando il Mehoffer colla sua rapidità quasi elettrica – tanto il concetto e l’esecuzione sono quasi una cosa sola – si mette a tracciare fregi tipografici, testate  o finali, vi si può colpire il minuto preciso in cui il genio polacco cessa di lavorare attraverso il suo genio personale ed abbandona questo secondo interamente alla sua propria e particolare ispirazione: potrei enumerare i tali disegni come rimasti per metà nell’ornamentazione popolare, mentre nei tali altri lo spirito del Mehoffer s’è alzato improvvisamente a volo, come una farfalla che esca dalla crisalide.

“EUROPA JUBILANS”                                                                                         TESTA DI MEDUSA

 

Si comprende come in questa vita, sì brillante in apparenza, non tutto sia stato egualmente roseo: non s’è polacchi per nulla, e d’altronde il paese slavo, come tutti gli altri, non è proprio quello dove si possa essere profeti in patria. Odio, gelosia, tradimenti, incomprensione, giustizia denegata son tutte cose che il Mehoffer ha provato. Ma lo splendore delle sue opere, una come l’altra, è tale, che per una commissione portatagli via gli sopravvenivano dieci altre. Un gran signore influente, che per poco non diventò ministro delle Belle Arti in Austria, s’accanì tanto contro di lui, che la decorazione del Wawel restò incompleta. Almeno però la cappella del tesoro – che deliziosa idea, di mettere sotto la custodia dell’infanzia e della verginità i più antichi, i più superbi gioielli del regno di Polonia! – quella ci resta, completa in sé, per darci un’idea di quello che sarebbe stato il complesso, e per far votare all’esecrazione dei posteri i nomi di coloro che intralciarono la grande realizzazione. Così nella cattedrale di Plock la vinse lo spirito timorato e retrogrado; nella sede degli artisti di Cracovia, e bei progetti di graffiti in nero, rosso ed oro su fondo bianco, ai quali l’artista lavorò a Firenze, sono rimasti inutili. Non importa, ripetiamo: ci resta abbastanza di che consolarci, in tutto il vasto territorio dell’antico Regno.  Un Mehoffer non si sofferma a lungo a rimpiangere ciò che non si sia potuto tradurre in atto e, senza lasciarsi scoraggiare, si volge immediatamente verso le cose sicure di vivere.

E nemmeno occorre dire, come la sua influenza sull’arte decorativa polacca dei nostri giorni sia enorme: si può quasi affermare, che, s’egli non creò di pianta uno stile, per lo meno lo stile polacco moderno subì la sua impronta altrettanto fortemente, quanto lo stile viennese subì quella del Klimt, E, ancora come il Klimt, il Mehoffer, benché isolato in mezzo ai suoi, determinò l’indirizzo preso dalla scuola, se non si voglia dire ch’egli l’abbia fondata. Non so se abbia allievi: poiché è professore all’Accademia di Cracovia – l’accademia meno accademica del mondo – è probabile che ne abbia; certo ha discepoli anche tra i suoi avversari.

Tanto come pittore, quanto come decoratore, il Mehoffer è all’avanguardia dell’arte polacca contemporanea. Non è possibile augurargli di lavorare di più, ma, nel conchiudere, auguriamogli di lavorare, nella seconda metà della vita, in mezzo ad una pace e ad una serenità maggiori che nella prima. Nessuno meglio merita la stima e l’amore dei suoi, l’ammirazione del suo paese e dell’estero.

Il suo compito a Cracovia, a Leopoli ed a Opava è in tutto analogo a quello del Tiepolo a Venezia ed in terra ferma; così, la Würzburg di questo grande decoratore slavo sarebbe Friburgo in Isvizzera, dove una cattedrale intera sta per essere illuminata dalla gloria delle sue vetrate. E poiché l’esempio è contagioso, penso che possiamo calcolare sull’avvenire dell’arte decorativa polacca.

WILLIAM RITTER

William Ritter (1867-1955) fu scrittore, giornalista, pittore, critico d’arte e critico musicale. La sua vita, composta da viaggi e soggiorni all’estero, principalmente in Europa centrale, fu marcata da incontri con degli scrittori, dei pittori e dei musicisti. Per saperne di più leggi: https://memoriav.ch/projects/fondo-william-ritter/?lang=it

 

 

 

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