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EMPORIUM 1903: Monumento ad Adam Mickiewicz – diverso da tutti gli altri… e mai realizzato!

Nel maggio del 1903, Attillo Begey pubblicò sulla rivista italiana “EMPORIUM” l’articolo intitolato “Un nuovo monumento ad Adamo Mickiewicz”. Per “un nuovo monumento” l’autore intendeva il modello della scultura di Wacław Szymanowski – opera che non è stata mai realizzata. Che peccato…

Wacław Szymanowski (a sinistra il modello del monumento di F. Chopin a Varsavia), monumento di F. Chopin al parco Łazienki a Varsavia – copia della scultura distrutta durante la II guerra mondiale. (Wikipedia)

Sarebbe sicuramente un monumento paragonabile a quello di Fryderyk Chopin che si trova oggi nel Praco Łazienki a Varsavia – distrutto nel 1940, rifatto nel 1958.
Il modello di cui parla Begey dell’altezza di 110,5 cm si trova nel Museo Nazionale di Cracovia.
L’articolo originale di A. Begey è consultabile sul sito www.artivisive.sns.it
Agata Rola-Bruni

COPERTINA – “EMPORIUM” Vol. XVII n. 101, VENCESLAO SZYMANOWSKI – GLI ULTIMI ISTANTI DI MICKIEWICZ (Bozzetto di monumento esposto a Vienna, 1902)

UN NUOVO MONUMENTO AD ADAMO MICKIEWICZ

Vivo ancora è in Polonia il ricordo delle onoranze rese al grande Poeta nel centenario della sua nascita, coll’inaugurazione in Varsavia del colossale monumento a lui dedicato, e già il genio della nazione esplica il suo culto al sommo Vate con un’altra opera d’arte che qui pure riproduciamo , dovuta allo scultore Szymanowski, e che, esposta di recente a Vienna, fu dal Ministro dell’Interno acquistata per donarla all’accademia di Belle Arti di Cracovia.

Notevole è in questa la evoluzione del sentimento artistico in confronto delle linee dei monumenti precedenti, evoluzione che addita un progresso nella comprensione degli ideali del Poeta per parte della nazione che lo onora.

Già nel 1859 sorgeva in Posnania, capitale della Polonia annessa alla Prussia, la prima, se non andiamo errati, delle statue che la nazione erigeva all’infelice Poeta, tratto pochi anni allora da fiero morbo immaturamente al sepolcro.

La sua posa vi era classica; il volto inspirato: il Poeta aveva nella destra la magica penna che ha tracciato le sublimi creazioni, il cui nome è scritto nel rotolo sul quale poggia l’altra mano. Ma egli non vi appariva nulla più che un letterato. Bastava forse alla nazione in quel tempo un sì limitato concetto perché più che ad un grande ideale dell’arte, essa mirava ad un fine patriottico, e così più dell’opera estetica voleva un’affermazione solenne del principio nazionale, come protesta contro il Prussiano invasore e persecutore della sua lingua e della sua nazionalità, protesta nel nome di colui che questa lingua e questa nazionalità aveva nell’opere sue circondato di un baluardo che niun tiranno avrebbe potuto espugnare.

Ma più tardi, quando Cracovia, capitale storica della Polonia soggetta all’Austria, intese dar lustro anch’essa alla più artistica delle sue piazze con monumento degno del celebre cantore lituano, più che il concetto patriottico, prevalse l’estetico, anzi si adombrò da taluni il voto che, più dell’uomo, il monumento dovesse rappresentare l’idea, e non la letteraria o politica soltanto, ma quella dell’alta missione che il Poeta aveva additato alla nazione, e di cui il suo corso di prelazioni al Collége de France aveva segnato splendidissimo il programma alle future generazioni.

A. Mickiewicz in carcere a Wilna (da un disegno del 1823), Zaosie – casa ove nacque A. Mickiewicz

Fu scelto il monumento di cui i lettori vedranno qui il disegno e nel quale il Poeta pare figurato in una delle sue potenti improvvisazioni affascinatrici.

Ma anche questa statua, come quella di Varsavia dove Mickiewicz sembra in atto di affidare solennemente la patria di credere con lui nel suo trionfo, son esse proprio tutto Mickiewicz? A parte la lor forma veramente magistrale, e la perfezione delle linee, e la grandiosità dell’insieme, l’arte ha però dessa penetrato realmente nelle profondità del Poeta? ne ha reso la grandezza, la missione, la vita per la quale egli è considerato non solo il poeta ma il profeta della sua nazione?
È questo un problema.

L’inaugurazione del monumento ad Adamo Mickiewicz a Varsavia – 24 dicembre 1898

Lo stesso Adamo Mickiewicz se lo affacciò uguale a proposito di Napoleone I e lo accennò in un documento firmato da amici francesi, ma redatto da lui e diretto il 21 agosto 1844 ai membri della Commissione incaricata dei progetti di monumento al grande imperatore.

Disse Mickiewicz che un monumento nazionale deve proclamare una verità nazionale. Napoleone era stato interpretato nella pompa della consacrazione dal pennello di David, in costume romano sull’Arco di Trionfo dell’Étoile, nella storica redingote sulla colonna Vendôme, allo scoglio di S. Elena dal quadro di De la Roche, e nella ritirata di Russia da quello di Meissonier. Ma queste non erano che altrettante stazioni napoleoniche, e non ancora il punto culminante a cui l’anima dell’eroe era stata arrestata nel suo slancio e su cui doveva richiamare l’attenzione della posterità. L’arte benché rozza e primitiva dei primi pittori ci rappresentava  i Santi non già in un momento ordinario della loro vita, ma in atto di portare gli strumenti del loro martirio. Ebbene, Mickiewicz avrebbe voluto Napoleone  rappresentato anch’esso nel suo martirio, non quello della prigionia, ma quello del suo dolore per l?Europa ripiombata nella reazione dopo la sua caduta, per le nazionalità conculcate, per l’opera della giustizia inadempiuta, non avendo restituite ad ogni popolo le sue frontiere.

Il nostro italiano Vela sentì questo martirio dell’eroe e nel suo Napoleone morente, ci diede un vero ideale. Napoleone ha lo sguardo pieno d’indicibile strazio e tiene la carta d?Europa distesa sulle ginocchia, e nel suo atteggiamento, tutta si sente la desolazione della grande anima sua. Napoleone è tutto in quel pensiero.

Un ugual momento, un’uguale sintesi psicologica per Mickiewicz, in cui egli pure potesse essere tutto intiero, fu la ricerca dello scultore Szymanowski, e certamente egli ha segnato col suo lavoro un grande progresso. Questo non è più un monumento convenzionale, rompe anzi colle tradizioni: non è più un protagonista che saluti la folla: è l’opera, è lo spirito di Mickiewicz e non può essere altri che lui.

Venceslao Szymanowski ha scelto il monumento in cui il Poeta, dopo un’improvvisazione nella quale il suo genio ha toccato l’apogeo, sviene soprafatto dalla piena del dolore profetico. La sua mano è ancora contratta, il suo volto ci dice che egli ama e che soffre non per sé ma per milioni, ed alcune figure simboliche piegate su di lui teneramente, condividono la sua angoscia e lo riconfortano onde non soccomba…

Rifacciamo a questo punto, in breve, il cammino attraverso la vita del grande Poeta* (Dal nostro articolo «Adam Mickiewicz» nell’Emporium Americano, abril de 1900), e questo ci farà meglio comprendere l’opera del suo scultore.

Monumento ad Adamo Mickiewicz a Varsavia, Vilna

Adamo Mickiewicz apparteneva alla piccola nobiltà lituana che dava ognora in Polonia un gran contingente ad ogni impresa generosa; allevato in mezzo al popolo campestre pieno di poesia e di leggende, coltivato da religiosi domenicani nell’amore della patria e della fede, udì fin dall’infanzia echeggiare intorno a sé i fasti, prima gloriosi e poi tristi, dell’epopea napoleonica, che in lui si scolpivano: egli sperava colla nazione nell’eroe: fin d’allora lo amava di quell’amore che di poi doveva in lui tanto elevarsi ma, cancellarsi, giammai.
A diciotto anni Mickiewicz era mandato all’Università: e là i suoi primi saggi poetici colpivano meravigliosamente, compagni e professori; ed uno di questi, udendo leggere i suoi versi, esclamava: «Qual genio, qual genio già si rivela fra noi!». Come alunno, studiosissimo: come compagno, affettuoso e devoto: come patriota, cospiratore già ardente ed operoso: colla donna, romantico, ma nell’amore, sopra ogni cosa, virile: egli lasciò di sé all’Università ricordi indimenticabili.
Appena compiuti gli studi, Mickiewicz era nominato professore di filosofia a Kowno e già per i suoi lavori letterari veniva chiamato il Walter Scott della Polonia.
Ma non cessando di cospirare per la patria, tra dito dall’imprudenza d’uno degli affiliati, il 23 ottobre 1823 veniva con molti altri arrestato, processato e dopo sei mesi di prigionia rilasciato, ma per subire poco dopo esilio.
Però senza il raccoglimento di Wilna, dice suo figlio, Adamo Mickiewicz poteva restare il poeta dei sonetti d’amore, ma non diventare il cantore di Wallenrod, della Terza parte dei Dziady, del Libro dei Pellegrini, del Pan Tadeusz, delle Lezioni al Collegio di Francia… Fino alla sua prigionia egli non era stato che un poeta romantico ed un amante sfortunato; egli si è rigenerato nel carcere. I lunghi corridoi della prigione sono stati per lui come l’immagine della Polonia, la quale non è che un reclusorio gigantesco. Egli l’amò tanto più quanto più vide l’immensità dei di lei patimenti. Era già presso dubbio, ma la fede prese il sopravvento sulla disperazione, e con questa vittoria egli tracciò la via a seguirsi alle generazioni future.
***
Il luogo d’esilio era Pietroburgo. Qui conobbe il compatriota Giuseppe Oleszkiewicz, pittore, membro dell’Accademia delle belle arti e profondo credente, e con lui si iniziò nelle dottrine dei filosofi di Boehme e Saint Martin. Oleszkiewicz faceva vedere a Mickiewicz come non v’ha altra via di salute che l’amore, il quale tutto abbraccia, anche la creatura che nuoce; e gli diceva che non bisogna uccidere alcuno, né il Moscovita né il verme, perché il male che esiste nell’animale e nell’uomo animalizzato, perderà la sua forza quando l’umanità peccabile si eleverà alla santità.
A Pietroburgo conobbe pure molti mistici russi, grandi signori sprezzati le loro ricchezze e gli onori, e anelanti di rompere il giogo cui obbedivano bensì, ma non piegavano; ed il contatto con essi contribuì ad alimentare in Mickiewicz il profondo lavorio che nel suo interno si andava senza posa facendo.
Ma la polizia vigilava, Mickiewicz fu sbalestrato a Odessa, e di là pur non cessando egli di affratellarsi ai congiurati russi ivi rifugiati, lo Tzar lo toglieva violentemente, internandolo a Mosca, dove egli fece conoscere ed apprezzare ai Russi la Polonia nella sua storia e nella sua letteratura, e ne insegnò a molti la lingua , ma soprattutto fece loro amare la Polonia, meritando egli stesso l’amore dei Russi.

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Mickiewicz non lasciò definitivamente Mosca che nel 1828. I suoi amici gli offrirono un banchetto, dopo il quale gli fu presentata una coppa d’argento portante i nomi dei convitati e dei suoi ammiratori. Brindisi, versi, canzoni, espressero i sentimenti, la commozione di tutti e gli addii strappavano le lagrime. A tutti rispose Mickiewicz con poetica improvvisazione, così bella, così straordinaria che l’entusiasmo raggiunse il colmo, e Boratynski, poeta russo, esclamò: «Ah Dio mio! perché dunque non è egli Russo!»
Seguendo il principe Galitzin alla capitale, Mickiewicz aveva potuto soggiornare di nuovo temporaneamente a Pietroburgo, dove, favorito dalla fama acquistata coi sonetti sulla Crimea, gli era riuscito di pubblicare, eludendo la censura, il suo Wallenrod. Ma la sua salute essendosi affievolita, lo Tzar gli aveva accordato un permesso illimitato per recarsi all’estero, ed è alla nostra Italia che Mickiewicz divisava di volgere i passi.
Ma ecco che mentre accingevasi a partire, la polizia riesciva a fargliene revocare il permesso, e a convertirlo in un ordine d’arresto.
Lo ignorava Mickiewicz, ma, suoi fidati amici alto locati che vegliavano, lo avvisavano in tempo, e prima che l’ordine d’arresto pervenisse agli agenti inferiori, Mickiewicz poteva notte tempo imbarcarsi sul Baltico e fuggire.
La Provvidenza, dice nuovamente qui suo figlio, permetteva a Mickiewicz di lasciare la Russia: sotto lo scettro dello Tzar aveva cantato l’amore, sospirato la Lituania, maledetto la tirannia, ma sotto un cielo libero, egli stava per trarne dal suo petto note ancor più elevate, note celesti.

Monumento ad A. Mickiewicz a Posnania (Posen) 1859, A. Mickiewicz secondo Schmeller, A. Mickiewicz

La prima tappa, per Kronstadt, Lubecca ed Amburgo, fu Berlino e qui si fermò in mezzo alla gioventù della polacca Posnania sì duramente aggiogata alla Prussia. Mickiewicz fu accolto con indicibile entusiasmo, e ne fu lieto, ma nel tempo stesso constatò che le astrazioni degli ideologi tedeschi esercitavano una funesta influenza sui suoi compatriotti, e diede opera durante il suo soggiorno a combatterla e ad emancipare le menti e le anime loro.

Da Berlino a Dresda, e da Dresda a Praga, quindi a Carlsbad e a Weimar. Mickiewicz peregrinava sempre con altissimi intenti. Presso Weimar visitava i campi di battaglia dove le vittorie di Napoleone avevano dato origine al Gran Ducato di Varsavia e in Weimar soggiornava per esservi presentato a Goethe, dal quale fu accolto tanto festosamente, che vi stette più a lungo onde partecipare alle feste dell’80° anniversario della di lui nascita, per le quali convenivano letterati da ogni parte d’Europa.

Goethe volle averne, prima che partisse, il ritratto  e gli mandò il pittore Schmeller pregando Mickiewicz di posare innanzi a lui, e quando lasciò Weimar, Goethe ebbe per lui amabilità affettuosissime  e ricordi, segno di un’amicizia che onorava entrambi.

Ma ecco finalmente Mickiewicz toccare nel settembre 1829 il suolo d’Italia, sospirata meta del suo viaggio, ed estatico ammirare a Milano, a Padova, a Venezia, le vestigia gloriose del nostro passato e le nostre artistiche grandezze.

Venezia gli rammenta Lord Byron, della cui morte generosa per la libertà della Grecia echeggiava allora l’Europa intiera, ed i ricordi dell’autore del Childe Harold lo accompagnano in questa città ad ogni passo.

Da Venezia a Ferrara, e da Ferrara a Bologna, Mickiewicz giunse a Firenze, dovunque soffermandosi, e meditando, e rievocando le figure dei nostri sommi.

Da Firenze a Siena, a Viterbo, a Roma, dove trovò numerosissima ed eletta colonia di compatriotti, e dove fu presentato alla regina Ortensia, alla quale espresse la sua fede che la stella dei Napoleonidi non era ancora tramontata.

A Roma pure conobbe il mondo artistico italiano e straniero, ma soprattutto fu colpito dall’orma profonda di fede impressa nei tanti suoi monumenti, ed il pittore Alberto Stattler, che gli fu spesso compagno nelle sue visite , ha lasciato scritto che quella città contribuì assai per sé sola a fortificare la fede in Mickiewicz, eccitando la sua forte intelligenza ad approfondire il mistero della caduta del paganesimo. Qualche volta, dice Stattler [in Przypomnienie starych znayomosci] noi ci recavamo a notte inoltrata al Colosseo e là Mickiewicz sedeva, come umile pellegrino, a piè della Croce posta in mezzo all’arena, là si concentrava in sé stesso come ancora atterrito al pensiero delle belve che ad un cenno dell’imperatore si gettavano sui cristiani; talvolta alzava gli occhi verso il luogo assegnato alle Vestali, come se avesse voluto rimproverarle d’assistere a un tale eccidio; tal altra pareva interrompere la visione e volto lo sguardo all’altura dello anfiteatro, fissare col dito un punto a cui si arrestava: che vedeva egli? forse un lembo di cielo, e questo lembo gli parlava della forza morale di Pietro e Paolo, che, usciti da una piccola città ebrea, avevano vinto la più grande potenza del mondo, più grande di quella dello Tzar, e avevano piantato la croce, là, sulle sue rovine.

Da Roma, Mickiewicz passava a Napoli e di là alla Sicilia, d’onde faceva ritorno per Foligno, assisi, Firenze, Pisa e Genova d’sponevasi a lasciare l’Italia.

Ma era l’anno 1830; l’anno in cui la rivoluzione era scoppiata in Polonia: Mickiewicz non lo ignorava: eppure non vi era accorso; un funesto presentimento opprimeva l’animo suo, ed il suo braccio e la sua musa ne erano resi inerti; queste sue disposizioni erano sì profonde che peregrinando presso Genova, alla visita di una statuetta rappresentante un Bambino Gesù con una croce in mano, Mickiewicz improvvisava quei versi sublimi che al presente ancora, ogni giorno, la Madre Polacca piangendo si ripete, mentre pur mai non cessa di offrire il figlio in olocausto alla patria [Gli Dziady e poesie varie, trad. di A. Ungherini, Torino, pag. 284].

Mickiewicz però non poteva reggere lontano dal teatro insanguinato della lotta ed andava in Posnania, e sotto mentito nome faceva escursioni anche oltre frontiera, ma là pure non cessava d’affliggerlo il tormento che la lotta sarebbe stata infeconda, e, profeta, vedeva l’avvenire e soffriva…

Da questo dolore, dal triste avverarsi de’ suoi presentimenti e dall’esodo straziante dei patrioti dopo che la rivoluzione era stata soffocata e repressa, Mickiewicz traeva quei sublimi accenti del Libro della Nazione Polacca e dei Pellegrini Polacchi , che al pari di testamento passeranno di generazione in generazione al nuovo Israele del mondo, la Polonia…

A. Mickiewicz, Casa di Goethe a Weimar nel 1829

È ad un evento di quest’epoca che si rannoda l’opera dello scultore Szymanowski, e precisamente alla creazione del dramma-poema romantico-patriottico i Dziady, a cui Mickiewicz attendeva in quello stesso tempo durante il suo soggiorno a Dresda.

Narra l’amico Odyniec in una lettera a Siemienski, pubblicata in uno studio sul Mickiewicz  [Siemienski: Religijnosc i Mistyka w zyciu i poezyach A. Mickiewicza, Krakow, 1871, p. 146], in quali condizioni d’animo eccezionali il Poeta si trovasse rievocando le indicibili scene d’orrore di cui la Polonia era il teatro, e scrivendo con penna intinta nel sangue le pagine infocate del suo poema.

Nella terza parte di quei Dziady è una splendidissima improvvisazione, del prigioniero Corrado, che dà sfogo alla piena del disperato suo dolore, per la patria e per essa arriva al parossismo della follia e alla sfida dell’Eterno, fino a che il Cielo, impietosito, scende e lo conforta…

Tale e così grande fu allora il dolore del poeta, il quale in quel prigioniero raffigurava sé stesso, che, tracciate quelle pagine, si credette morire.

«Non posso non dire una parola (così prosegue Odyniec) della scena dell’improvvisazione, convinto per esperienza come molti, anche fra i più intelligenti, ne intendono il significato e lo scopo a rovescio. Egli (Mickiewicz) la scrisse per intero, una notte, e non solo la scrisse, ma la ricopiò a netto, temendo e credendo proprio che l’indomani non sarebbe più in vita. Ciò solo basta a dimostrare in quale stato d’animo fosse allora. Recatomi da lui nel pomeriggio seguente, lo trovai ancora addormentato. Ma dormiva mezzo vestito, e non nel letto, bensì su di un materasso ritolto da esso, sul pavimento. Come mai questo? Egli stesso non lo seppe spiegare. Ciò mi allarmò enormemente, soprattutto per l’estremo pallore che gli vidi. Ma svegliatosi, mi rassicurò e con un dolce sorriso mi disse che tutta la notte aveva gettato giù dei versi, e mi pregò di leggergli ad alta voce quella scena dal suo manoscritto. Uditala, il pallore svanì e si sentì perfettamente riavuto. Mi disse allora ciò che più sopra accennai ed aggiunse che considerava quella scena come il punto culminante della evoluzione della poesia Byroniana, nel quale cioè la follia dell’orgoglio della ragione tocca gli estremi suoi confini, e solo l’umile fede e l’amore cristiano di Fra Pietro salva il poeta dal precipizio e dalla perdizione…»

Lo scultore Szymanowski ha scelto, come dicemmo, questo momento psicologico del grande Poeta – momento in cui, più che il verso, o la parola, è l’anima, è la vita, è tutto sé stesso che egli ha donato alla patria, momento in cui il patriottismo pagano segna il suo più puro apogeo e già raggiunse i confini del patriottismo cristiano, del quale Mickiewicz doveva poi più tardi toccare del pari le più alte, inesplorate cime – futuro tema di nuova arte, e di nuovo monumento, che la Polonia attende ed avrà, appena il suo spirito abbia raggiunte esso stesso quelle cime e sovra di esse siasi stretto in un indissolubile abbraccio col suo adorato Poeta e Profeta che ve l’ha chiamata.

B. [Attilio Begey]

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