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PRO POLONIA – Aleksander Kołtoński sulla rivista “Emporium” (ANNO 1915)

 

Aleksander Kołtoński (1882-1964) era un giornalista polacco stabilitosi in Italia nel 1908. Con qualche interruzione trascorse qui più di cinquant’anni promuovendo la cultura e la storia polacca, rafforzando i contatti italo-polacchi. Nel 1916 il suo appello Salvate la Polonia. C’è tempo ancora fu divulgato sotto la forma di volantino indirizzato ai parlamentari italiani. Dopo la conquista dell’indipendenza, oltre a scrivere e tradurre la letteratura polacca, organizzò concerti e mostre dedicate all’arte polacca.

Abbiamo già ricordato tre dei quattro articoli di A. Kołtoński pubblicati su “EMPORIUM”:

  1. HENRYK SIENKIEWICZ” (Febbraio 1917, vol. XLV nr 266)
  2. “ARTISTI CONTEMPORANEI: JOZEF CHELMORISKI” [JÓZEF CHEŁMOŃSKI] (Agosto 1919, vol. L., nr 296)
  3. ARTISTI CONTEMPORANEI: JACEK MALCZEWSKI” (Novembre 1931 vol. LXXIV nr 443)

Oggi vogliamo presentare l’articolo dell’anno 1915 “La Polonia ed il suo popolo” con cui Kołtoński, durante la I guerra mondiale, cercava di conquistare l’opinione pubblica italiana per la “causa polacca”.

Tutti e quattro gli articoli con le foto in bianco e nero sono consultabili sul sito http://www.artivisive.sns.it. Nella mia presentazione ho inserito, dov’era possibile, le illustrazioni a colori dal sito www.pinakoteka.zascianek.pl.

Buona Lettura!

Agata Rola-Bruni

“EMPORIUM”  (Ottobre 1915 Vol. XLII nr 250)
LA POLONIA ED IL SUO POPOLO

„Emporium” – copertina vol. XLII nr 250, Ferdynand Ruszczyc „IL DISGELO (POLONIA)” 1898-1900

«Non siamo insensibili al grido di dolore…»VITTORIO EMANUELE II

Lontano, lontano, dove in questo momento tragico della storia si mescola al rombo sordo del cannone il grido straziante dei milioni di soldati che combattono e muoiono per un miglior avvenire dell’umanità, havvi un paese ricco e grande, pieno di selve oscure, come le lunghe notti d’autunno, dai tigli odorosi e soavi e dalle infinite pianure, coperte di grano dorato e smaltate di papaveri più rossi del sangue e di ciani più azzurri del cielo.

ADAMO MICKIEWICZ (1798-1855), IL MAGGIORE POETA POLACCO, GIULIANO FALAT: IL TRAMONTO (POLONIA)

Questo paese, bagnato dalle acque grigie della Vistola e guardato gelosamente dalle alture severe dei Carpazi, è la Polonia, la patria del Mickiewicz e del Kościuszko, nomi ben conosciuti dagli Italiani ai tempi di Garibaldi, del grande Copernico, di Giovanni Sobieski, l’indimenticabile liberatore d’Europa dall’invasione barbara dei Turchi, e dell’immortale Chopin che, come nessun altro, ne raccontò a tutto il mondo, colla musica sua triste e angosciosa, la tragica storia.

GIUSEPPE CHELMONSKI: L’ARATURA (POLONIA), TIPI DEI CONTADINI POLACCHI

Poco si sa delle origini della Polonia e quel poco è immerso nelle fitte tenebre del remotissimo passato, che l’avvolgono col confuso ma gentile velo del mito e leggenda.

Erodoto, parlando nel quinto secolo av. C. della Scitia, col qual nome egli segnava tutto il lembo di terra occupato oggi dagli Slavi, dai Finni e dai Tartari, e descrivendo i suoi abitanti selvaggi, accenna ad un popolo che, per il suo carattere mite, rappresenta una vera oasi fra le orde bestiali dei Mongoli. «Nel grande spazio di questa terra rocciosa – scrive il padre della storia – sta alle basi di alta montagna gente colla testa rasa, uomini come donne, e questo, secondo si dice, dalla nascita. Vivono sotto gli alberi, portanti un frutto a nocciolo somigliante al fico, che avvolgono per l’inverno con pezzi di lino bianco, levandolo per l’estate. Nessuno osa di offendere questa gente, tutti la trattano come santi. Non adoperano nessun’arma da guerra. Chi si rivolge a loro, può esser sicuro dell’asilo, perché nessuno l’oltraggerà. Si chiamano Argipei», cioè esecutori della pace divina.

Lo stesso raccontano di quella gente il maggiore storico latino, Tacito (primo secolo av. C.), il suo contemporaneo Pomponio Mela, che li chiama Arimfei, e dei posteriori lo storico e geografo Ammiano Marcellino (quarto secolo d. C.), i cui scritti escludono ogni dubbio intorno alla posizione geografica di quel popolo, col quale si fonde genealogicamente la storia sopra le origini della Polonia.

ENRICO WEYSSENHOFF: NELLA MAREMMA (POLONIA), MICHELE WYWIORSKI: L’AUTUNNO (POLONIA)

«Là, dove finiscono i monti Rifei (Tatra) – dice l’ultimo storiografo romano degno di nota – vivono gli Arimfei, un popolo giusto e conosciuto per la sua dolcezza; tutte le loro dimore sono percorse dai fiumi Chronus e Visula», cioè Niemen e Vistola.

Nonostante la scarsità di dati sicuri, si sa che la cosa cardinale, che distinse questo popolo dalle vicine stirpi germaniche, fu un largo comunismo della vita sociale e l’assenza di ogni sentimento guerresco, tratti caratteristici propri di quei Kmiecie, che la storia incontra in questi luoghi nel momento di costituzione politica del regno polacco, come veri padroni e pacifici lavoratori di questa terra oggi tanto flagellata.

Nel corso dei secoli la pace dei Kmiecie fu turbata spesso dalle incursioni delle razze parenti e straniere. Furono però i cosiddetti Lechiti, slavi anch’essi, i quali, cacciati dai Romani dalle loro sedi danubiane, erravano senza governo tra foreste e monti e, dopo aver varcati i Carpazi, invadevano ogni tanto il bacino della Vistola e la pianura del lago di Goplo, sinchè non conquistarono tutto il paese, diventando per forza delle armi i suoi dominatori legittimi.

I Lechiti, rappresentando, già come conquistatori, la casta privilegiata del paese, ottennero anche una certa superiorità morale, portando con sé la fiaccola della coltura latina, colla quale ebbero una volta l’occasione di venire in contatto. Con loro venne qui probabilmente una nuova organizzazione delle relazioni sociali, basata sul diritto civile romano, e coll’introduzione della moneta metallica, in cui mancanza furono usate anche le pelli delle faine, principiò il commercio.

STANISLAO WITKIEWICZ: UNA BURRASCA NELLE TATRA, ADALBERTO [WOJCIECH] GERSON: NELLE TATRA
Pur appartenendo alla stessa razza, i Kmiecie e i Lechiti differivano parecchio tanto nel loro esteriore, quanto nei loro costumi e concezioni di vita. Pacifici agricoltori, i primi portavano, secondo un uso antico, la testa rasa, mentre gli altri, guerrieri, avevano capelli lunghi, che li dovevano forse proteggere dai colpi della spada nemica. Spiccatissima fu la differenza fra di loro specialmente nelle relazioni famigliari. La monogamia e l’uguaglianza di posizione dell’uomo e della donna nella casa lechita contrastavano in modo assoluto colla poligamia e sottomissione della donna maritata dei Kmiecie, presso i quali soltanto le vergini prendevano, accanto agli uomini, una parte attiva alla vita pubblica e religiosa.

Dalla convivenza secolare di queste due tribù, agevolata dalla comunità dell’origine e della lingua ed appianata quasi completamente dall’interesse comune di difesa e dalla stessa religione, ottenuta sotto il segno della croce dalle mani del nemico, nacque però in seguito un popolo unico e grande – il popolo polacco.

Fra i popoli slavi i Polacchi rappresentano la stirpe più pura, mentre gli altri rivelano un incrocio più o meno perfetto col sangue mongolo (Russi e Bulgari), tartaro e valacco (Ruteni), tedesco (Czechi), tedesco ed italiano (Sloveni) ed ungherese (Slovachi e Croati).

GIUSEPPE RAPACKI: L’INNONDAZIONE PRIMAVERILE (POLONIA), BRONISLAO KOWALEWSKI:
DAI LAGHI MAZURIANI (POLONIA)

Malgrado però un passato brillante e glorioso, una coltura millenaria ed una ragguardevole resistenza vitale, ventitre milioni (!) di Polacchi implorano oggi il destino di levar dalla loro terra bella, ma infelice l’incubo della schiavitù, che da centoquarant’anni sopprime ogni suo respiro ed ogni suo sogno di libertà.

Entrata ufficialmente col suo battesimo nella storia dei popoli civili, la Polonia compiva magnificamente già dalla fine del secolo XIV il suo destino di una grande potenza europea. Effettuata pacificamente l’unione, prima colla Rutenia e poi colla Lituania, e suggellata colla memorabile battaglia di Grunwald (1410) la vittoria definitiva sopra l’Ordine Teutonico, essa arrivò nel secolo XVI all’apogeo della sua grandezza politica e spirituale. Ma l’assenza assoluta di senso politico nel suo popolo e la generosità apolitica di uno dei suoi re preparava già futura rovina. Il ducato di Prussia, un pezzo di terra donato, quasi come elemosina, da Sigismondo I all’ultimo gran Maestro dell’Ordine Teutonico, Alberto di Brandenburgo, diventò proprio il luogo, dal quale, per strana ironia del destino, duecentocinquantasette anni più tardi partì il primo segnale al brutale suo smembramento. Con esso cominciò il martirio di quel popolo, che, secondo l’espressione del sommo poeta francese, fu «il cavaliere della civiltà in Europa». CONTINUA A PAGINA 2

BERNARDO BELOTTO, DETTO CANALETTO (1724-1780): VARSAVIA, VARSAVIA DALLA PARTE DI PRAGA

Mięśniaki w macicy trzeba często kontrolować

Ardea: Koncert „Italia –Polonia. Musica, Storia e Memoria.”