Nell’anno 1916, Oreste Ferdinando Tencajoli (1875-1946) – uno scrittore e giornalista italiano pubblicò sulla rivista “EMPORIUM” (Vol. XLIV n. 264) un articolo di undici pagine (incluse le foto) dedicato agli italiani alla corte dell’ultimo re di Polonia – Stanislao II Augusto Poniatowski (1732-1798). Presentò non solo artisti – pittori, architetti, musicisti – ma anche politici e uomini di Chiesa. Secondo Tencajoli, gli italiani dovrebbero ricordare Stanislao Augusto con riconoscenza perché “egli fu per essi un vero mecenate; nessuno fu largo come lui nel rimunerare, nel tenere in alto pregio l’arte e gli artisti nostri. I benefizi loro accordati, i premi distribuiti, i lavori ad essi affidati, sono altrettanti titoli di gratitudine. Durante il suo regno concesse patenti di nobiltà e di naturalizzazioni a ben 68 italiani, numero non mai raggiunto sotto i precedenti regni.”Il testo originale è consultabile sul sito www.artivisive.sns.it
Buona lettura!
Agata Rola-Bruni
“EMPORIUM” (DICEMBRE 1916 VOL. XLIV, NR 264)
LA CORTE ITALIANA DEL RE STANISLAO AUGUSTO PONIATOWSKI
Le relazioni fra l’Italia e la Polonia hanno origini antichissime, poiché risalgono al mille con l’introduzione del cristianesimo nel nord dell’Europa. I primi vescovi, nominati da Roma, per le sedi di Polonia furono italiani e fra essi si riscontrano un Colonna e un Vitelleschi: in seguito le nostre università contribuirono notevolmente a cementare i buoni rapporti fra i due paesi. Gli atenei di Bologna e di Padova contavano nel Medio-Evo e nel Rinascimento numerosi studenti polacchi. Ma l’emigrazione italiana in Polonia prese un notevole sviluppo nel 1517, allorché Bona Sforza andò sposa a Sigismondo I. Tutt’un codazzo di gentiluomini seguì da Napoli la bella e giovane principessa, la quale chiamò presso di sé, ad abbellire la Reggia e le chiese di Cracovia, pittori, scultori, ed architetti, che trasfusero nelle loro opere tutto il gusto squisito dell’arte italiana. Sotto la dinastia dei Wasa, – principi colti ed intelligenti, – gli italiani furono ognora bene accolti a Varsavia, tanto da dare alla Corte una schietta impronta italiana. In quanto a Giovanni Sobieski ed ai re Sassoni è noto quanto essi amassero l’Italia e gli italiani, ai quali concessero distinzioni, favori, onorificenze. Con l’avvento di Stanislao Augusto Poniatowski, parve di ritornare ai tempi di Bona Sforza: l’origine italiana del Re, richiamò alla sua Corte uno stuolo numeroso di italiani, che vi portarono il loro brio, la loro eleganza e la loro coltura. Che Stanislao Augusto fosse della famiglia dei conti Torelli di Montechiarugolo, – una fra le più antiche ed illustri d’Italia, – non vi è più nessun dubbio: tutti i genealogisti sono d’accordo nell’ammetterlo ed il nostro Litta in primo luogo. Nella prima metà del seicento Giuseppe Salinguerra Torelli andò in Polonia, chiamatovi dal cardinale Maciejowski, che si riteneva discendente della stessa famiglia; e qui giova osservare che un Paolino Torelli si era stabilito in Polonia sin dal 972, la cui discendenza fioriva ancora in Lituania. Presentato al Re Augusto II, Salinguerra venne accolto ovunque festosamente e avendo sposato Sofia Poniatowski, il di lui figlio Giovanni, accasandosi a sua volta con una Maciejowski, divenne polacco, cambiò il suo nome di Torelli in quello di Ciolek (piccolo toro, in polacco), aggiungendo al proprio quello di Poniatowski. Egli fu il bisavolo del re Stanislao Augusto, figlio di Stanislao Poniatowski e di Costanza Czartoryska.
Si narra che un indovino italiano, di nome Antonio Formica, avesse predetto nel 1732, alla contessa Poniatowska, che il figlio Stanislao, nato il 17 gennaio dello stesso anno a Wolczyn, avrebbe cinto un giorno la corona reale. La profezia si avverò! Comunque la madre, della quale sembra forse il prediletto, gli fece dare una educazione compita, mettendolo nel Collegio dei Nobili di Varsavia, diretto dai padri teatini italiani. Il giovane Stanislao di svegliato ingegno, ebbe a maestro di filosofia e di matematiche il padre Antonio Portalupi, – direttore del Collegio -, che fu il primo ad introdurre nelle scuole polacche la filosofia di Wolff, in luogo dell’aristotelica sino allora in auge. L’allievo, divenuto poi re, conservò sempre per il Portalupi un ottimo ricordo, e volle che in onore dell’illustre scienziato si coniasse una medaglia, portante il ritratto in busto con la scritta: «Portalupi Rector Coll. Nobil. Varsav. P.P. Theat.» e nel rovescio «quam colui categor», figura sedente sotto un albero in atto di cogliere delle frutta. Nel contorno: Istitutori Juventutis suae Stanisl. Aug. rex. 1774».
Studiosissimo, Stanislao, oltre al polacco, imparò l’italiano, lingua dei suoi antenati, il latino, il russo, il tedesco, il francese e l’inglese. In una rappresentazione data nel Collegio, dagli alunni, alla presenza del re Augusto III, egli recitò con grande maestria la parte del protagonista del dramma lirico «Alessandro nelle Indie» scritto appositamente da Metastasio, e tradotto nel latino da Portalupi. Voglioso poi di completare la sua educazione, viaggiò a lungo in Europa, facendo soggiorni piacevolissimi nelle migliori società di Vienna, di Londra e di Parigi. In quest’ultima città frequentò assiduamente la celebre madame Geoffrin, che li rimase sempre amica affettuosa e confidente discreta dei suoi sogni e delle sue speranze.
Dotato di maschia bellezza, giovane, elegante, colto, buon parlatore, spirito cavalleresco, un po’ romantico, ebbe grandi successi nel mondo femminile. Allorché, nel 1757, venne nominato ambasciatore a Pietrogrado, fece furore, la stessa volubile ed altera granduchessa Caterina s’invaghì perdutamente di lui. Amore fatale che se fu il principio della sua fortuna politica, fu pure la rovina della Polonia. Morto il 5 ottobre 1763 il re Augusto III, si aprì la successione al trono di Polonia, ed egli si trovò fra i candidati: Caterina, divenuta nel frattempo l’imperatrice, ne patrocinò con calore l’elezione: già li aveva scritto: «je ferai tout pour vous et votre famille, soyez-en fortement persuadé». Il 7 settembre 1764, dopo quasi un anno di interregno, la Dieta dei Nunzi (Deputati) radunata a Wola, acclamava re di Polonia, framezzo a deliranti applausi, il conte Stanislao Augusto Ciolek-Poniatowski! Il 25 novembre successivo, festa di Santa Caterina – scelto forse appositamente in onore alla sua potente protettrice, – egli veniva solennemente incoronato re di Polonia a Varsavia, dopo di avere giurata la costituzione. Lo stesso giorno creò i principi i fratelli Andrea, generale al servizio dell’Austria, Michele, non ancora primate di Polonia, Casimiro, suo ciambellano, Francesco, canonico della metropolitana di Cracovia; uguale titolo diede alle sorelle Isabella Branicka e Luigia Zamoyska. Poco dopo giungeva dall’Italia il conte Antonio Torelli, a complimentarlo a nome della famiglia, per la sua elevazione al trono. In questa occasione, riconobbe nell’agnazione i Torelli d’Italia, ed insigni di ordini cavallereschi i conti Antonio, Giuseppe, Cristoforo e Carlo Torelli. Fu il suo primo omaggio all’Italia.
Salito ai supremi fastigi della regalità, ebbe vasto campo di soddisfare i suoi gusti artistici, il suo amore per lo sfarzo e la magnificenza. La nuova Corte prese in breve tempo un aspetto di suprema eleganza e di distinzione, divenendo un centro luminoso di arte. Benché celibe, volle intorno a sé anche l’elemento femminile dell’aristocrazia e le sale del palazzo reale si stiparono di cavalieri e di dame, portandovi una nota festosa e gaia. Fu per qualche tempo – prima che i rovesci e le dissezioni politiche iniziassero il decadimento del paese – la Corte forse più brillante d’Europa. La sua fama di liberalità e di squisita cortesia, di coltura e di galanteria, attirò a Varsavia forestieri da tutte le parti d’Europa.
Naturalmente gli italiani vi accorsero numerosissimi, taluni di propria iniziativa, altri chiamati dal re stesso, senza contare quelli che vi erano già sin dal precedente regno, e quelli discendenti da famiglie già stabilite nello stato da parecchie generazioni.
Vago di costruzioni e di innovazioni, nonché di istituzioni utili al paese, fondò a sue spese, la Scuola dei Cadetti, un osservatorio astronomico, dotandolo di tutti gli istrumenti necessari; stabilì una fabbrica d’armi, una fonderia di cannoni, e la Zecca; apri un orto botanico, una biblioteca; favorì la stampa di libri utili, incoraggiando gli scrittori con lodi e ricompense ed all’uopo creò l’ordine di San Stanislao; getto le basi di una Società scientifica, protesse le manifatture e le miniere, aprì strade e canali – quello Oginski è dovuto all’ingegnere veneziano Baseggio – e migliorò le fortificazioni. Testimonio infine del suo amore per il bello è la costruzione della deliziosa Villa di Lazienski [Lazienki].
In tutte queste imprese venne, come vedremo, coadiuvato dal genio italiano.
Dopo i polacchi, venivano immediatamente gli italiani nel favore del Re, tanto che la nostra lingua era parlata correttamente nel suo entourage. Essi coprivano anche varie cariche e uffici importanti di Corte.
Suo bibliotecario fu monsignor Giovanni Albertrandi, figlio d’un pittore italiano, dotto archeologo il quale nel 1771 venne mandato in Italia a fare raccolta di manoscritti e libri riguardanti la storia di Polonia. Fu anche Conservatore del Medagliere regio e Presidente dell’Accademia degli Amici delle Lettere di Varsavia; egli arricchì l’archivio di oltre 100 volumi di vario argomento tutti scritti di suo pugno.
Ciambellano era il Conte Camelli e suo medico favorito fu Michele Bergonzini di Bologna – venuto in Polonia col principe Sanguszko – il quale nel 1792 ebbe la nobiltà e divenne medico generale dell’armata, alla quale diede due figli che morirono in guerra nel fiore degli anni per l’indipendenza polacca. Uomo di grande merito, successe all’Albertrandi nella carica di Presidente dell’Accademia degli Amici delle Lettere: letterato, tradusse in italiano la vita di Copernico e Sniadecki e scrisse vari lavori anche in polacco. Altri medici del Re furono i dottori Zanelli, Moneta, Maelli, tutti e tre creati nobili. Suo chirurgo fu tale Magnini, di Pistoia, passato poi nella segreteria particolare d’Italia, dove vi erano di già l’abate Giustiniani, che fungeva anche da precettore dei nipoti del Re e il Conte Corticelli. L’abate Gaetano Ghiggiotti, già addetto alla Nunziatura di Varsavia, aveva la segreteria degli affari ecclesiastici con 3500 fiorini annui di stipendio: personaggio influente, godeva di molto credito nell’animo del Re, del quale fu anche consigliere intimo, come lo prova la voluminosa corrispondenza scambiata col Sovrano. Fu intermediario di tutte le scabrose e difficili trattative con Roma per le nomine dei vescovi di Polonia. Sin dal 1768 era stato fatto nobile. A lui successe Federico Bacciarelli, figlio o quanto meno congiunto del pittore (1788). SEGUE A PAGINA 2