in

Adam Mickiewicz (1798-1855) – poeta e patriota polacco

Una delle vie ai piedi del colle Pinciano (Pincio) a Roma porta il nome di Adamo Mickiewicz – celebre poeta e patriota polacco – scrittore ben conosciuto tra gli appassionati della letteratura. Nel novembre del 2018 uscì finalmente, attesa da anni, la prima traduzione integrale in versi del più grande poema della letteratura polacca il “Pan Tadeusz”, ossia “Messer Taddeo”. Il traduttore, Silvano de Fanti, dopo quattro decenni di duro lavoro è riuscito per la prima volta in lingua italiana, a presentare il capolavoro di Mickiewicz in versione poetica, molto fedele al testo originale. I suoi precursori, gli autori delle traduzioni di “Pan Tadeusz” (“Signor Taddeo) del 1871 e del 1924 hanno infatti riportato il famosissimo poema polacco in prosa.

Messer Taddeo” – traduzione di S. de Fanti (Ed. Marsilio 2018), prima edizione di “Pan Tadeusz” in lingua polacca (Parigi 1834)

Il poema, scritto durante l’esilio di Mickiewicz a Parigi è stato pubblicato per la prima volta nel 1834 – esattamente 185 anni fa. In occasione di questo anniversario vorrei presentare ai nostri lettori di lingua italiana un articolo di Parmenio Bettoli dedicato alla vita ed opera di Adam Mickiewicz. L’articolo originale pubblicato nel febbraio del 1899 sulla rivista italiana “EMPORIUM” (Vol. IX n. 50) è consultabile sul sito www.artivisive.sns.it

Agata Rola-Bruni

COPERTINA – “EMPORIUM” VOL. IX n. 50, RITRATTO DI ADAMO MICKIEWICZ

 

“EMPORIUM” (Febbraio 1899) Vol. IX n. 50

LETTERATI CONTEMPORANEI: ADAMO MICKIEWICZ

 

Dopo aver innalzato due monumenti in onore del suo grande poeta nazionale, l’uno a Cracovia, l’altro a Varsavia; la Polonia ha testè celebrato il primo centenario della sua nascita.

Adamo Mickiewicz, figliuolo ad un nobiluzzo professante l’avvocatura, nacque in fatti il 24 dicembre 1798 a Zaosia, nel palatinato di Novogrodek, della Lituania, o Russia bianca. Là compié i suoi primi studi in una scuola di padri domenicani, dov’ebbe a condiscepoli Giovanni Czeczot, lo spirito ardente, che si fece poi promotore di tante agitazioni universitarie, e Michele Wereszczaka, fratello di quella Maria, o Maryla, che a lui doveva ispirare il suo primo amore, amore infelice, dappoichè la fanciulla fosse già fidanzata ad altri, ma che gli valse d’assillo, nella malinconia del momento, per attingere, con più avide fauci, alla fonte del sapere. Quella passione quasi infantile, tendente all’elegiaco, e il suo paese nativo, dove trascorse la prima giovinezza: paese dalle grandi e pittoresche vedute, rotte da foreste, da paludi e da stagni, sul quale galleggia, insieme a una viva fede cattolica, la tradizione pagana dei sogni, dei vampiri, degli angioli del bene e del male, indussero nel suo spirito un misticismo, che lo accompagnò poi sempre durante la vita.

Lasciando Zaosia, entrò alla università di Wilna, della quale era decano il prete Giuseppe Mickiewicz, suo congiunto, e dov’ebbe a insegnanti il retore Borowski, che gli trasfuse il gusto per la poesia; il filologo tedesco Groddeck, classico robusto, e lo storico Lelewell, grande erudito e, sovra tutto, grande patriota. In quella università, gli studenti, con fini patriottici, s’erano stretti in leghe segrete, fondando le società dei filomati e dei filareti, alle quali egli pure s’ascrisse. Il governo russo ne prese ombra e, per troncare il male al suo nascere, adottò misure di rigore. Il 23 ottobre 1823, il giovine Mickiewicz fu arrestato a Kowno e, insieme a parecchi suoi condiscepoli, racchiuso a Wilna, in un convento di frati basiliani, convertito in carcere, e, l’anno successivo, mentre altri venivano relegati in fortezza, o deportati in Siberia, egli fu spedito a Pietroburgo, dove i rapporti ch’egli strinse con Bestoujeff, Ryieieff ed altri giovini cospiratori russi, e, specialmente, una certa sua intimità col celebre poeta Alessandro Pouchkine, insospettirono di nuovo il governo, che lo confinò ad Odessa, come insegnante presso quel ginnasio.

Esule, sì, ma quasi interamente libero di sé e del suo tempo, da Odessa, potè visitare il Kanato della Crimea e recarsi a Mosca, d’onde quel governatore, principe di Galitzin, fervido ammiratore del suo genio poetico, gli ottenne la grazia di poter ritornare a Pietroburgo. Più tardi, grazie all’amichevole intromissione del poeta Joukovski, gli fu consentito di recarsi all’estero, e così egli abbandonò la Russia, come aveva già dovuto abbandonare la sua diletta Polonia, senza che più gli fosse dato di rivedere né l’una, né l’altra.

CASA DI MICKIEWICZ A KOWNO, ADAMO MICKIEWICZ – DAL QUADRO DI OLESZKIEWICZ (1828)

Trasse dapprima in Germania e in Austria, fu a Berlino, a Dresda, a Carlsbad, dove incontrò un amico di giovinezza, Eduardo Odyniec, altro poeta, traduttore di Byron, che lo accompagnò nei successivi suoi viaggi. Insieme resero visita al decano della letteratura tedesca, Wolfango Goethe, il quale, invaghito del Mickiewicz, ne volle, per la sua galleria, un ritratto, che fu eseguito, lì per lì, dal pittore Schmeller, e di cui diamo qui una riproduzione. Diamo pure quella del medaglione fattogli da David d’Angers, che Mickiewicz trovò parimenti a Weimar. I due poeti furono a Francoforte, Bonn, Eidelberga, Strasburgo; poi, toccata la Svizzera, per lo Spluga, scesero in Italia.

Mickiewicz si stabilì a Roma, dove si strinse in dimestichezza con l’americano Fenimore Cooper e d’onde s’affrettò a partire non si tosto gli l’annunzio della insurrezione polacca scoppiata nel novembre del 1830. Ma egli era tuttora in viaggio, agognante alla patria, che già quel tentativo insurrezionale si contorceva nelle stratte d’agogna. Egli riparò allora a Dresda , e, dopo avervi dimorato un paio d’anni, nel 1832, si rese a Parigi, dove, nel 1834, sposò la compatriota Celina Szymanowska, figliuola alla celebre pianista Maria Wolowski, da lui conosciuta a Pietroburgo dieci anni prima. Parve allora riconcentrarsi tutto e quasi intorpidirsi in una quietudine sonnolenta nel seno della propria famiglia. Ma, incalzandolo i bisogni della vita, dovette uscire da quella sua inazione, per accettare una cattedra di lettere latine presso l’Accademia di Losanna. E là stette, sinchè, nel 1849, per gli uffici del principe Adamo Czartoryski, il governo francese ebbe fondata  espressamente per lui, al Collegio di Francia, una cattedra di lingua e letteratura slava. Ma, di li a non molto, raggirato dal misticismo di un fanatico, o ciarlatano che fosse, certo Towianski; colpito da gravi dolori domestici, specialmente da una tremenda malattia, che afflisse sua moglie; egli trascurò affatto l’insegnamento, come aveva già trascurato la poesia, tanto che, nel 1845, il governo di Luigi Filippo dovette sopprimere quella sua cattedra, dimezzandogli lo stipendio.

Mickiewicz, suggestionato dal Towianski, sognava, non solo il risorgimento della Polonia, ma quello eziandio della religione cattolica, nella quale si permise introdurre varianti, che la corte pontificia condannò come eresie.

Ma cattolico fervente, com’era, egli non potè consentire di passare per eretico; epperò trasse espressamente a Roma, col proposito di persuadere il Papa dell’attendibilità delle sue dottrine. Essendo in quel punto scoppiata la rivoluzione del 1848, egli credette che il buon momento fosse arrivato di risollevare la Polonia, della quale aveva cantato gli eroi: raccolse, quindi, nel nobile e ardimentoso intento, una schiera di suoi compatrioti, coi quali lo vedemmo accorrere a Milano, offrendo il braccio alle battaglie della libertà. Impugnando un vessillo, recante un’aquila bianca in campo sanguinoso, egli salì al verone del palazzo Marino, d’onde pronunciò un lungo e caldo discorso sulla fratellanza dei popoli scissi e ridotti in servaggio da straniera oppressione. Ma, quella volta pure, i suoi conati e le sue speranze, quanto alla Polonia, non giovarono a nulla e la maggior parte de’ suoi seguaci, costretti ad abbandonare il proposito di una lotta per la patria, entrarono nell’esercito sardo, primo nucleo dell’esercito italiano.

Apostolo costante delle idee napoleoniche, nelle quali scorgeva il germe della redenzione dei popoli, quando vide Luigi Bonaparte chiamato alla presidenza della repubblica francese, il Mickiewicz tornò a sperare. Ma fu indarno. Insieme a Edgardo Quinet e Giulio Michelet, coi quali formava una specie di triumvirato, egli venne, per contro, definitivamente destituito e non fu che più tardi, e grazie alle raccomandazioni di re Gerolamo, da lui conosciuto a Kowno e poi riveduto a Roma, ch’egli potè ottenere un posto di bibliotecario all’Arsenale e, più tardi, da Napoleone III, durante la guerra di Crimea, una missione in Turchia, dove confidava poter raccogliere intorno a sé i molti suoi compatrioti sparsi per la penisola balcanica e, con essi, tentare qualche levata di scud. Ma, non così giunto a Costantinopoli, fu colto da un attacco fulminante di coléra, che lo spense nel giro di poche ore il 25 novembre 1855.

La sua salma, trasportata in Francia, fu seppellita nel cimitero di Montmorency, dove giacevano già le spoglie di altri cospicui emigranti polacchi, quali Niemcewicz e Kniazewicz, e, nel 1890, l’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria – Ungheria ne permise la traslazione a Cracovia, nella cattedrale di Wawel, dove riposano gli avanzi mortali dei re e degli eroi della Polonia.

 

***

Studiosissimo dapprincipio di scienze naturali, di fisica, di chimica, di filologia e di storia, Adamo Mickiewicz, sin da quando, adolescente, si trovava ancora a Novogrodek, intraprese a scrivere varie opere, che lasciò poi incomplete, tra le quali una versione poetica del Numa Pompilio del Florian, ricavata da una traduzione in prosa di Stanislao Staszyc. All’università di Wilna, lasciò, dopo breve tratto, gli studi scientifici, per dedicarsi toto corde ai letterari e, specialmente, alla poesia; approfondì il secolo d’oro della letteratura nazionale polacca; si rese famigliari Kochanowski, e, specialmente, Trembecki, e, nella persistente malinconia del suo amore infelice per Maria Wereszczaka, si appassionò vivamente alla lettura del Werther di Goethe e della Valeria della signora di Krudener. Da tali studi e letture, coronati il penoso stato di animo, in cui egli si trovava, uscirono i suoi Dziady (Gli antenati), serie di ballate, che cominciarono ad apparire per le stampe tra il 1822 e il 1823. Esse costituiscono una specie di poema drammatico, o, piuttosto, un episodio dialogato, nel quale, dopo un prologo, che presenta un vampiro e lo spettro di un giovinetto dannato a destarsi e rivivere, ogni anno, il dì dei morti, il poeta intesse la storia del proprio amore. Nel prologo egli descrive la festa del dì dei morti, specie di danza macabra, alla quale assistono un mago, uno stregone ed un coro di villici, che ripete frequente il ritornello: Co to bendzie? Co to bendzie? (Cosa vedremo mai? Cosa vedremo mai?) Mickiewicz, il quale, nello spettro di Gustavo, narrante all’antico suo parroco e maestro le proprie pene amorose, raffigura sé stesso; è sempre, a differenza dell’olimpico Goethe, superlativamente soggettivo: nulla lo interessa che non riguardi la sua persona. In oltre, come nato in una terra, che fu idolatra sino a tutto il secolo XIV, egli commesce soventi alla sua fede di cattolico fervoroso le tradizioni pagane della sua patria, che vorrebbe innestate nel domma cristiano. A malgrado de’ suoi studi classici, egli, nel fondo, rimane sempre uno ingenuo contadino lituano’ e i due versi dello Shakespeare:

There are move things in heaven and earth

Than are dreamt of in your philosophy

da lui posti come epigrafe ai Dziady, sono, in qualche sorta, il principio direttivo del suo pensiero, spregiatore della scienza ed entusiasta della fantasia.

ANDREA TOWIANSKI, ADAMO MICKIEWICZ – DA UN RITRATTO DI SCHMELLER ESEGUITO PER GOETHE (1829)

Ai Dziady, egli fece seguire Grazyna, storia di una eroina lituana, la quale riceve in dono dallo sposo una completa armatura e muore battendosi  contro il nemico della sua patria, e una raccolta di ballate, leggende, romanze e poesie liriche, notevoli tutte, se non pe’ soggetti, accusanti la influenza tedesca, inglese e russa, per una lingua abbondante e pieghevole, pittoresca e armoniosa.

A Pietroburgo, come sfogo del suo legittimo malanimo contro i dominatori della sua terra natale, egli raccolse le sue impressioni in una serie di poesie satiriche: La grande strada, I sobborghi, Pietroburgo, Il monumento di Pietro, La rivista, La vigilia della inondazione, vibranti d’atticismo e sature d’amarezza. date in luce nel 1832, esse formarono un seguito ai Dziady. Le rovine del Kanato di Crimea, ricordandogli quelle della sua patria, gl’ispirarono altri pensieri ch’egli tradusse in bellissimi sonetti, adottando questa nuova forma, allora introdotta in Polonia da Sep Skarzynski [Mikołaj Sęp Szarzyński]. Finalmente, nella persuasione che i polacchi non dovessero tardare ad insorgere, e dopo essersi eccitato con la lettura della Congiura di Fieschi del Goethe e del Principe di Niccolò Machiavelli; egli si accinse al suo poema epico: Corrado, che il rimpianto Amilcare Ponchielli tentò inutilmente di popolarizzare anche tra noi con la sua bell’opera: I Lituani.

Corrado Wallenrod, il protagonista, giovine idolatra, convertito al cristianesimo dai cavalieri teutonici, insieme a un vaidelote, lingustone, o guslarzo, specie di vecchio bardo, suo compaesano, viene fatto prigioniero dal principe lituano Keystout, che lo prende ad amare, gli affida il comando de’ suoi e gli concede in sposa la propria figliuola Aldona, bella come una diva, buona come un angelo. Ma, prima che le nozze si compiano, sobillato dal vaidelote, che gli rivela la sua vera origine, egli abbandona la fidanzata e, sudante odio e vendetta contro i teutoni, assunta a divisa la massima machiavellica: “Bisogna essere volpe e leone” , torna tra di loro e, pugnando per essi eroicamente in Spagna, si distingue così da essere eletto gran maestro dei cavalieri porta-spada, i quali, poi, con bieco tradimento, spinge a imprese temerarie e disastrose, sì da farli quasi tutti sterminare. Ma un misterioso tribunale vehemico lo danna a morte, ed egli spira con gli occhi rivolti alla torre, entro la quale sta rinchiusa, volontaria prigioniera, l’abbandonata Aldona.

La censura russa, forse perché si trattava di tedeschi, non penetrò il senso recondito del poema apparso nel 1828, tanto più ch’esso era accompagnato da una dedica rispettosa allo czar Niccolò I, il quale non esigette che la soppressione dei versi sintetizzanti l’opera intera:

…..………………………. Schiavo tu sei:

Sol’arma de lo schiavo è il tradimento!

Prescindendo da codesto principio etico piuttosto repugnante e da alcuni punti deboli e difetti di composizione, il poema racchiude momenti epici e squarci lirici di una incomparabile bellezza.

SARCOFAGO DI MICKIEWICZ NELLA CHIESA DI WAWEL A CRACOVIA, ADAMO MICKIEWICZ – MEDAGLIONE DI DAVID D’ANGERS

Il terzo suo poema, ch’egli pubblicò a Parigi nel 1834 e i polacchi reputano, forse, come la sua opera più insigne, fu Pan Tadeusz (Il signor Taddeo) o Jacopo Soplica. La invenzione di questo poema, il quale descrive la Lituania, allorchè, nel 1812, le legioni polacche rimpatriarono, dopo la funesta spedizione di Mosca, è di ben lieve essenza. Jacopo Soplica, il quale uccise un tempo l’ultimo palatino della famiglia Horeszko, perché gli ricusò la figliuola in consorte, ritorna sconosciuto, dopo molti anni, in patria, sotto spoglie fratesche, eccitando i lituani ad insorgere contro i russi e, prima di morire, ha il supremo conforto di poter spegnere gli odi rampollanti dal suo delitto, unendo in matrimonio il proprio figliuolo Taddeo con Sofia, unica superstite degli Horeszko. A questa tenue e semplice favola si rannodano interessanti descrizioni di luoghi e di usi e costumi lituani e molti personaggi secondari, simboleggianti l’audace schiera di prodi, che si coperse inutilmente di gloria sotto il grande Kosciuszko. Continua a pagina 2

Z życia Polskiej Parafii Santa Maria alla Porta w Mediolanie

Piosenka “Niepodległa” w finale III Polonijnego Festiwalu Polskiej Piosenki